Nobiltà

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Nicolaus Kremer, Ritratto di nobiluomo, 1529.

La nobiltà indica una classe sociale distinta da particolari privilegi e attributi. Ha costituito in passato un elemento fondamentale nella storia dell'Europa, dal Medioevo fino all'Età moderna.[1]

Storia

Il graduale processo della parificazione delle due classi patrizia e plebea nell'antica Roma determina il formarsi di due nuove categorie di cittadini privilegiati:

  • la nobilitas;
  • la classe dei cavalieri: equites, borghesi arricchiti.

Della nobiltas fanno parte i discendenti delle antiche famiglie, perlopiù patrizie, detentori per secoli delle più importanti magistrature e sacerdozi maggiori.[2]

Con il tramonto dell'impero romano e il parallelo emergere di centri di potere autonomi facenti capo a individui e famiglie in grado di svolgere funzioni politico-militari e di esercitare un dominio di fatto, i nobili — per difendere tale posizione — si stabiliscono in castelli che diventano col tempo il centro economico-amministrativo dei territori circostanti. Con l'età carolingia (IX secolo), la nobiltà viene a dipendere — almeno formalmente — dal sovrano. La nobiltà feudale, insidiata nella sua supremazia basata sulla proprietà fondiaria, dalle profonde trasformazioni economiche dei secoli XII-XIII e dall'emergere di nuove realtà politico-amministrative — le città —, nei secoli XIV e XV inizia a scontrarsi con il sorgere e l'affermarsi dei principati territoriali e delle monarchie assolute. La composta classe nobiliare-borghese esce vittoriosa dai rivolgimenti dell'età moderna, mantenendo i suoi privilegi:

  • diritto al porto della spada;
  • esenzioni fiscali;
  • ricorso a giurisdizioni speciali.

Si assicura anche l'accesso esclusivo alle alte cariche civili e militari, monopolizzando strutture politiche, statali e cittadine.[1]

Con la rivoluzione francese del 1789, la nobiltà viene giuridicamente liquidata per decreto: l'"Assemblea nazionale abolisce interamente il regime feudale".[3]

Sopravvivrà solo come classe sottoposta — al pari delle altre — all'autorità giudiziaria.[1]

In Italia la Costituzione repubblicana ha tolto dal 1948 ogni riconoscimento giuridico ai titoli nobiliari, in forza dell'articolo XIV delle Disposizioni transitorie e Finali.[1]

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Titoli

Di seguito — e in ordine gerarchico — i titoli nobiliari principali, al di sotto del re:

  1. principe;
  2. duca;
  3. marchese;
  4. conte;
  5. visconte;
  6. barone;
  7. signore;
  8. cavaliere ereditario;
  9. patrizio;
  10. nobiluomo.[1][4]

Categoria a sé stante era quella detta more nobilium o distinta civiltà, di famiglie cioè storicamente in possesso di stemma, formalmente non registrate come nobili.[5]

I "quarti di nobiltà"

È a partire dalla fine del medioevo che nell'Europa centrale compare l'uso di definire la nobiltà di una persona facendo il conto dei suoi "quarti".[6]

Antoine Furetière fa riferimento ai "quarti" per parlare di blasonatura delle arme: 14, sostiene, è uno stemma d'arme.

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I "quarti" esprimono l'anzianità di nobiltà di una persona (a prescindere dal titolo) in funzione dell'appartenenza o meno dei propri antenati al ceto nobiliare: più alto è il numero di generazioni precedenti che potevano fregiarsi di un titolo nobiliare, "maggiore" è la nobiltà della persona in questione, che viene misurata così in "quarti". Il computo parte dai nonni: un nobile i cui nonni potessero fregiarsi ciascuno di un titolo nobiliare comunque acquisito (assegnato direttamente dal re o ricevuto per discendenza) è in possesso di 44 di nobiltà (14 per ciascuno dei 4 antenati). Risalendo ai bisnonni (4 coppie, maschi e femmine), se ciascuno di essi era nobile, il computo consente al soggetto in questione di vantare 84 di nobiltà, a seguire 164 se erano nobili anche tutti i suoi trisavoli, e così via.[7]

Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

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